Perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, dev’essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata a’ delitti, dettata dalle leggi… Occorrono pene miti , ma che vengano sempre applicate...
Cesare Beccaria “Dei delitti e delle pene”
LPU (Lavoro di pubblica utilità)
Uno dei grandi temi che ha dovuto affrontare il diritto penale nella sua storia è stato quello del rapporto tra reato e pena e la funzione che quest’ultima debba perseguire.
Nel corso del tempo e degli ordinamenti sono cambiate le teorie circa quale dovesse essere l’obiettivo e la finalità verso cui la pena dovesse tendere e concretizzarsi.
Nella realtà italiana ci si imbatte prima con il codice Rocco in un compromesso tra le due scuole dell’epoca in cui fu emanato; quella positiva, che partiva dal presupposto che i delinquenti non siano responsabili dei loro crimini, orientata nel senso della funzione special-preventiva della pena, intesa nel senso di neutralizzazione del soggetto, e quindi incentrata sulla misure di sicurezza (tendenzialmente a durata illimitata e non commisurate al fatto, ma ad esigenze preventive); e quella classica, orientata in senso retributivo.
Con l’avvento della Costituzione vi è stato una sorta di ribaltamento della lettura e della visione della pena. L’articolo 27 della Carta Costituzionale afferma: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”, così sancendo il principio del finalismo rieducativo della pena, facendo riferimento alle specifiche esigenze special-preventivo e risocializzative del condannato.
La rieducazione si traduce in una solidaristica offerta di opportunità, affinché al soggetto sia data la possibilità di un progressivo reinserimento sociale, correggendo la propria antisocialità e adeguando il proprio comportamento alle regole giuridiche.
Nel quadro della nostra Costituzione l’espressione “rieducazione” va interpretata alla luce della dignità e libertà della persona, nel senso di andare ad assicurare le condizioni di un rispondere al reato commesso ( in carcere e/o fuori) che sia umanamente significativo per il condannato.
Per tutte le scelte relative alla pena, non solo per l’esecuzione ma anche per il legislatore, la rilevanza dell’idea rieducativa è stata chiaramente affermata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n.313 del 1990. La Corte ha ribadito la rilevanza del profilo afflittivo della pena e il fondamento costituzionale della funzione di intimidazione e difesa sociale. Ma le altre finalità della pena non autorizzano il “pregiudizio della finalità rieducativa espressamente consacrata dalla Costituzione (…) in uno Stato evoluto la finalità rieducativa non può essere ritenuta estranea alla legittimazione e alle funzioni stesse della pena”.
La rieducazione è un obiettivo che non può essere assicurato o imposto per legge, ma l’ordinamento penale è tenuto ad apprestare istituti e strumenti idonei.
Peraltro, la rieducazione deve passare da un lato necessariamente dalla preventiva creazione di motivazioni che inducano a comportamenti socialmente corretti, e, dall’altro, essa non può che realizzarsi attraverso strumenti pedagogici tendenti alla responsabilizzazione e alla consapevolezza della conseguenza delle proprie azioni; pertanto, accanto all’ideologia dei diritti del condannato, occorre affermare anche quella dei doveri. A tali esigenze viene data rilevanza dal legislatore attraverso la creazione di un sistema sanzionatorio differenziato, sistema che consentirà al giudice di effettuare le opportune valutazioni al fine di rendere la pena adeguata, nella natura e nella misura, anche al recupero sociale del reo. In tale quadro si inserisce il sistema della premialità progressiva – inteso quale graduale attenuazione della pena, ove possibile, parallelamente alla dimostrata progressiva riacquisizione delle abitudini sociali – e il sistema delle misure alternative alla detenzione.