La normativa
I presupposti
Il panorama dei riti speciali, con la L. n. 67 del 2014, si è arricchito della “sospensione del procedimento con messa alla prova”, regolando i profili processuali dell’ipotesi di estinzione del reato disciplinata dagli art. 168 bis e 168 ter c.p. introdotti con il medesimo intervento legislativo (artt. 464 bis-464 novies).
Si prevede, infatti, che in caso di procedimenti puniti (astrattamente) con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva, non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché i per i delitti di cui al co. 2 dell’art. 550 c.p.p. (ancorchè sanzionati con una pena più elevata), l’imputato può chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova (art. 168 bis, co., c.p.). Ai fini della determinazione della pena non si tiene conto – secondo le Sezioni Unite – delle circostanze aggravanti (comuni, ad effetto speciale, ad efficacia speciale).
La previsione non può essere disposta nei confronti dei delinquenti abituali (artt. 102, 103 104 c.p.), dei delinquenti professionali (art. 105 c.p.) e dei delinquenti per tendenza (art. 108 c.p.). Resta incerta l’operatività davanti al giudice di pace, stante la mancata espressa esclusione dall’elenco dei riti speciali contenuta nell’art. 2, d.lgs. n. 274 del 2000.
Il contenuto della “prova” è piuttosto articolato. La messa alla prova consiste nella prestazione di comportamenti tesi all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato nonché, ove possibile, nel risarcimento del danno dallo stesso cagionato.
La “probation” consiste altresì nell’affidamento dell’imputato al servizio sociale per lo svolgimento di un programma che può comportare, tra l’altro, attività di volontariato di rilievo sociale ovvero l’osservanza di prescrizioni relative sia ai rapporti con il servizio sociale o con le strutture sanitarie, sia alla dimora, alla libertà di movimento, nonché al divieto di frequentazione di specifici luoghi.
Ulteriore elemento al quale è subordinata la concessione della messa alla prova è costituito dalla prestazione di lavoro di pubblica utilità, consistente in una prestazione non retribuita, calibrata sulla professionalità e sulle attitudini lavorative del soggetto in favore della collettività da svolgersi presso lo Stato, gli enti territoriali, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni anche internazionali (operanti in Italia) di assistenza sociale sanitaria o di volontariato. La sua durata non può essere inferiore a dieci giorni anche non continuativi (non è fissato il limite massimo)
Nel definire i contenuti sarà necessario tener conto che non ne risultino pregiudicate le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia, di salute dell’imputato: per questa ragione la durata delle attività non può superare le otto ore giornaliere.
Concedibile una sola volta, la concessione determina la sospensione del corso della prescrizione con l’esclusione di quanto previsto dal co. 1 dell’art. 161 c.p. in punto di effetti limitati al soggetto in prova (art. 168 ter, co. 1, c.p.). L’’esito positivo della prova estingue il reato per il quale si procede ma non esclude l’applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, se previste dalla legge, e la confisca (in quanto non esclusa espressamente) (art. 168 ter, co.2, c.p.). In caso di gravi o reiterate trasgressioni al programma di trattamento la sospensione è revocata (art. 168 quater c.p.). Stesso esito è previsto in caso di commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo ovvero di un reato della stessa indole rispetto a quello per cui si procede. Irrilevante la commissione di un reato dopo l’esito positivo della prova (art. 168 quater c.p.)
La Corte costituzionale ha escluso che il rito possa confliggere con l’art. 27 Cost. considerato, per un verso, che il giudice può applicare l’art 129, per un altro, che la messa alla prova consegue ad una richiesta espressa dall’imputato (Corte cost. n. 91 del 2018).
La richiesta
All’istanza è allegato un programma di trattamento contente i riferiti contenuti della messa alla prova elaborato d’intesa con l’ufficio di esecuzione penale esterno.
Con decorrenza dalla sottoscrizione da parte dell’imputato del verbale di messa alla prova, il procedimento può essere sospeso per un periodo on superiore a due anni quando si procede per un reato per il quale è prevista la pena detentiva sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria.
L’esecuzione della prova
Il provvedimento favorevole del giudice – che viene trasmesso immediatamente all’ufficio di esecuzione esterna – fissa la modalità di esecuzione della messa alla prova e stabilisce il termine entro il quale l’imputato deve adempiervi.
Scaduto il tempo della prova, il giudice – sulla scorta della relazione conclusiva dell’ufficio di esecuzione penale esterna – se il comportamento dell’imputato è stato adeguato alle prescrizioni stabilite, dichiara, con ordinanza – emessa a seguito di una udienza di cui dà avviso alle parti e alla persona offesa – che la prova ha avuto esito positivo e dichiara estinto il reato.
In caso di esito negativo della prova, il giudice dispone che il processo riprenda il suo corso (non è prevista la ricorribilità diretta del provvedimento che dovrebbe poter essere impugnato unitamente alla sentenza).
Il Codice della Strada prevede che, in caso di condanna per guida in stato di ebrezza (art. 186) o sotto effetto di sostanze stupefacenti (art. 187), la pena detentiva o pecuniaria possa essere sostituita con quella dei lavori di pubblica utilità.
Nel caso di guida in stato di ebrezza il decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285 e s.m.i. – c.d. Nuovo Codice della Strada- prevede all’art. 186 C.d.S., comma 9 bis, così come introdotto dalla L. 120 del 2010, dispone che “chiunque guida in stato di ebbrezza è punito (ove il fatto non costituisca più grave reato come indicato nell’art. 2 bis del medesimo articolo) con la pena detentiva e pecuniaria. […] Tale pena può essere sostituita dal giudice procedente, se non vi è opposizione da parte dell’imputato, anche con il decreto penale di condanna, con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste […] Con il decreto penale o con la sentenza il giudice incarica l’ufficio locale di esecuzione penale ovvero gli organi di cui all’articolo 59 del decreto legislativo n. 274 del 2000 di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità […] In caso di svolgimento positivo del lavoro di pubblica utilità, il giudice fissa una nuova udienza e dichiara estinto il reato, dispone la riduzione alla metà della sanzione della sospensione della patente e revoca la confisca del veicolo sequestrato”.
La L. 29/7/2010 n. 120 ha introdotto nell’art. 186 il comma 9-bis nelle ipotesi di reato di:
- guida in stato di ebbrezza intermedia, con tasso alcolemico > a 0,8 e non > a 1,5 (g/l) (comma 2 lett. b),
- guida in stato di ebbrezza grave, con tasso alcolemico > a 1,5 (g/l) (comma 2 lett. c),
- anche se commessi da conducenti: di età inferiore a 21 anni; neopatentati; che esercitano l’attività di trasporto di persone o cose; di autoveicoli di massa complessiva a pieno carico superiore a 3,5 t, di autoveicoli trainanti un rimorchio che comporti una massa complessiva totale a pieno carico dei due veicoli superiore a 3,5 t., di autobus e di altri autoveicoli destinati al trasporto di persone il cui numero di posti a sedere, escluso quello del conducente, è superiore a 8, nonché di autoarticolati e di autosnodati (comma 3 dell’art. 186-bis[19]),
- e di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti (comma 7),
Chi è ammesso al beneficio, può ottenere:
- la dichiarazione di estinzione del reato,
- la riduzione alla metà della sanzione della sospensione della patente
- la revoca della confisca del veicolo sequestrato.
Con la sentenza di condanna il giudice individua il tipo di attività e l’ente o amministrazione dove deve essere svolto il lavoro di pubblica utilità. La prestazione di lavoro non retribuita ha una durata corrispondente alla pena detentiva, oppure al numero di giornate corrispondenti alla pena pecuniaria L’attività si svolge nella provincia in cui risiede il condannato.
La prestazione non può eccedere le 6 ore di lavoro settimanale, dal lunedì al venerdì, da svolgere con modalità e tempi che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del lavoratore. Tuttavia, se il condannato lo richiede, il giudice può ammetterlo a svolgere il lavoro di pubblica utilità per un tempo superiore alle sei ore settimanali.
L’attività viene svolta presso gli Enti che hanno sottoscritto con il Ministro, o con i Presidenti dei Tribunali delegati, le convenzioni previste dall’art. 1 comma 1 del D.M. 26 marzo 2001, che disciplinano le modalità di svolgimento del lavoro, nonché le modalità di raccordo con le autorità incaricate di svolgere le attività di verifica.